venerdì 8 maggio 2009

Fai più domande e limita i giudizi e le interpretazioni (anche riguardo a te stesso) - parte I

Nell'anno trenta avanti Riza e Donna Moderna, quando uno era triste e di cattivo umore, aveva le paturnie. Se la zia Mirella si lavava le mani quaranta volte al giorno, era magari un po’ fissata con l’igiene. Se lo zio Poldo mangiava tanto, era un buongustaio. Se Pierino faceva i capricci, era esuberante o, al peggio, discolo. Se la zia Mirella (ancora lei!) era troppo magra, era perché mangiava poco o perché si consumava a forza di lavarsi.

Oggi se hai le paturnie, è perché sei depresso. Lo zio Poldo sarebbe un bulimico. Pierino sarebbe affetto dall’acronimite del ceppo ADHD (gli acronimi, quando ti si attaccano addosso, non li scrosti nemmeno col raschietto - a proposito, ADHD sta per Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività). E la zia Mirella sarebbe un’anoressica compulsiva un po’ narcisa e con manie di protagonismo (perché nella lista è apparsa due volte).

Capita che sei sotto l’ombrellone con la tua Enigmistica a risolvere il cruciverbone dell’ultima pagina e chiedi alla vicina di sdraio se il simbolo del Cadmio è “Cd” e quella ti risponde “Lei dovrebbe avere più fiducia in se stesso!”

La frase che si sente più frequentemente sugli autobus oggi è “sono fatto/a così” anche nelle varianti "nome-proprio è disturbo-rilevato-dal-manuale- diagnostico-statistico-dei-disordini-mentali" es. “Lo devi capire, Paolo è un po’ ossessivo” (come diavolo si faccia poi ad essere “un po’” ossessivi è un’altra questione).

Comunque, a ben riflettere, pensa che fortuna vivere in un mondo di efficaci diagnosti!
Puoi prendere un autobus e consultare un pendolare qualunque e, prima ancora che tu parli, ti dirà esattamente come sei fatto e, quel che è più sorprendente, cosa dovresti fare per porvi rimedio.

Durante i corsi che tengo (non lo avresti detto, vero, che c’è gente disposta a pagare per ascoltarmi) capita spesso che io scelga un volontario che ci racconti i suoi problemi. Niente a che vedere con problemi psicologici: io non sono uno psicologo e tratto cose molto più “comuni”, roba tipo “il tempo libero: ah avercelo!”.
Insomma io chiedo ad una persona di fare da cavia e agli altri partecipanti di aiutarla a risolvere il suo problema. E immancabilmente qualcuno parte con una diagnosi del genere “secondo me tu tendi a somatizzare, probabilmente perché hai un problema con il tuo io-genitore. Dovresti provare a rilassarti, ad entrare in contatto con le tue emozioni e a recuperare una dialettica con questa parte di te!”.
Al che, siccome sono molto perverso con i partecipanti, io chiedo al volontario “Ti riconosci in quello che ti ha detto il tuo compagno di corso? E soprattutto ti è stato d’aiuto?”
Una volta un volontario mi ha guardato, poi ha guardato il compagno di corso e ha domandato “Ah, stava parlando di me?”.

Naturalmente i miei corsi sono frequentati da persone molto perspicaci, molto più di quante se ne incontrino nella vita reale (è noto, infatti, che i corsi sono “vita artificiale”). La maggior parte di loro sono già vaccinate contro le interpretazioni e sanno che queste spesso lasciano il tempo che trovano.
Ma nella vita reale non è così. Nella vita reale ci sono gli amici e le amiche della pausa caffè, e prima ancora ci sono la mamma, il papà, la zia Mirella, le maestre…

A proposito di maestre e di scuola, nel 1968 i due psicologi Robert Rosenthal e Lenore Jacobson fecero un esperimento. Misurarono il quoziente intellettivo di alcuni alunni di una scuola elementare. Poi scelsero del tutto casualmente, vale a dire indipendentemente dal loro QI, un certo numero di alunni e dissero agli insegnanti che questi avevano un QI più alto degli altri e che perciò rappresentavano delle vere e proprie “promesse”. Ripeto, gli alunni che furono presentati come “promesse” non erano quelli con il QI più alto, ma erano stati estratti a sorte.
Al termine dell’anno scolastico fu nuovamente misurato il QI degli alunni e si notò che il QI degli alunni presentati come “promesse” era aumentato più di quello degli altri.
Da allora gli alunni che non furono presentati come “promesse” inviano regolarmente lettere minatorie agli autori dell’esperimento.

Ecco perché io mi altero alquanto, per non dire che mi in..zzo proprio, quando sento persone dire a proposito di un bambino - e, quel che è peggio, alla sua presenza - cose come “è un po’ timido”, “è disordinato”, “non si applica”.
Io stesso sono stato tra quelli che “potrebbero fare di più, ma non si applicano” e soltanto dopo molto tempo ho capito che questo comportamento era in realtà la mia versione del rasoio di Ockham: gli sforzi non si devono moltiplicare oltre il necessario.

Ora potrei annoiarti - e credimi sono tentato di farlo - citando altri esperimenti come quello effettuato da Rosenhan nel 1973, quando una serie di falsi pazienti si presentò in 12 differenti cliniche psichiatriche denunciando di sentire voci. Furono ospedalizzati e avendo manifestato poi un comportamento normale, vennero dimessi, in media dopo 19 giorni, con una diagnosi di schizofrenia in fase di remissione. Se vuoi divertirti, in Internet trovi anche le cartelle cliniche redatte dagli psichiatri - questi, ahimé, veri.

C’è da dire comunque che tutti noi tendiamo ad interpretare e che questo è un tratto necessario alla nostra sopravvivenza. Quando, fino a non molto tempo fa, vedevamo un altro scimmione avvicinarsi a noi fischiettando con una clava in mano, il fatto di essere in grado di interpretare le sue intenzioni, vale a dire aggredirci o convolare a nozze ed essere altresì in grado, in ambedue i casi, di predisporci alla fuga, poteva salvarci la vita ed evitarci il divorzio.

Non sempre però possiamo fidarci delle nostre interpretazioni. Per esempio, il fatto che la ragazza/o che hai incontrato al bar l’altra sera, pur avendoti intravisto/a tra la folla a dodici metri di distanza, non ti abbia mandato al diavolo, non significa che non può più fare a meno di te. E anche se talvolta crederlo può aumentare le tue chance di successo, magari, prima di invitarla/o a sposarti, è il caso che tu le/gli offra un drink e forse addirittura che le/gli parli.

Insomma, interpretare è inevitabile, ma è meglio se impari a riconoscere quando lo stai facendo ed invece di far dono della tua “preziosa” interpretazione al malcapitato, o peggio di comportarti come se avessi capito tutto, salvo poi essere clamorosamente e definitivamente smentita/o, è preferibile - dicevo - se ti prendi qualche verifica per essere certo/a di aver capito bene (che a volte è meglio che aver capito tutto).

(…continua…

... continua sì, ma magari senza ‘ste barre tipo a/o dopo gli aggettivi e i participi che eviteranno pure le discriminazioni di genere, ma appesantiscono la lettura (per non parlare della digitazione). Che ne dici se, d’ora in avanti, mi rivolgessi a te qualche volta come se fossi una lei e qualche volta come se fossi un lui e tu, invece di cavillare, chiudessi un’occhio quando senti che non calza? Bene, chi tace acconsente!)

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